Trentenne, proprietario insieme al padre e al fratello della storica Macelleria Cioni alle Cascine del Riccio, questa estate l’ha passata camminando: “All’improvviso ho sentito come un richiamo”
CASCINE DEL RICCIO (IMPRUNETA) – “Le coincidenze non esistono”.
Inizia così il racconto di Niccolò Cioni, trentenne imprunetino, proprietario insieme al padre e al fratello della storica Macelleria Cioni alle Cascine del Riccio, che quest’estate ha percorso il Cammino di Santiago. Intero. Da solo. Per 940 Km.
“Sembra scontato – ci dice – ma all’improvviso ho sentito il richiamo del cammino, una vocazione, dovuta certamente a vicende personali riguardanti me e la mia famiglia”
Niccolò è da sempre appassionato di sport outdoor: come trekking, ferrate, mountain bike.
Alle sue spalle ha già altri “cammini”; l’ultimo la via degli Dei (da Bologna a Firenze) pochi mesi prima di partire.
Ed è questo il primo consiglio che dispensa: “Mai partire per un cammino, specialmente lunghi come quello di Santiago, impreparati e non allenati. In particolare, è importante conoscere e aver provato più volte l’attrezzatura con cui si cammina, come calzini e scarpe. L’attrezzatura giusta previene l’80% dei problemi lungo il cammino, che sono vesciche e infortuni muscolari”.
“Tuttavia – prosegue – a differenza di quello che si può pensare, non mi sono documentato troppo a fondo leggendo blog o guide, poiché non volevo crearmi troppe aspettative. Ho organizzato il Cammino in due giorni, grazie a un mio caro amico che lo aveva già fatto, e a un solo libro, Il Cammino di Santiago di Paulo Coelho“.
Alle 5 del mattino del 31 luglio Niccolò inizia il suo Cammino da Saint Jean Pied-de Port, in Francia, un piccolo paese medievale: lui e 12 kg di zaino.
“Ho subito attraversato i Pirenei, una delle tappe più faticose e temute del Cammino. La camminata pirenaica – ci spiega – spaventa molti a causa dell’importante dislivello di oltre 1.400 metri di altitudine. Il problema non sono stati i 25 Km di camminata (in media ne ho percorsi circa 30-34 al giorno, arrivando anche a 40), ma l’altitudine. È stato difficile ma allo stesso tempo bellissimo. In molti, specialmente nelle guide, lo sconsigliano: per questo sono felice di non averle lette”.
“Ad alcune cose invece – prosegue Niccolò sorridendo – pur essendo preparati, non ci si abitua mai. Come ad esempio la convivenza negli albergue con 30-40 persone in una camerata, ognuna di esse magari con gli scarponi ai piedi del letto (sebbene non sia buona norma) dopo aver fatto 30 km con 40C°… non dico altro, vi lascio immaginare da soli”.
Tornando serio, continua: “Ho percorso tutto il Cammino da solo. Anche se soli, sul Cammino di Santiago, non lo siamo mai. Ho conosciuto, incontrato, centinaia di persone da tutto il mondo: persone con le quali condividere solo poche ore ma con le quali è come condividere anni interi della nostra vita. Sul Cammino tutto è amplificato, le conversazioni sono profonde, anche solo l’augurio, “Buen Camino”, vuol dire molto di più”.
“Ho avuto la fortuna di avere i miei angeli del Cammino – riflette – quelle persone con cui basta uno sguardo, un gesto, e capisci che sono loro, i tuoi angeli. E io so di essere stato un angelo per altri. Questo è il Cammino: aiuta, ti pulisce, ti fortifica; il Cammino è una persona, ed è così potente”.
“Mi ha cambiato – afferma sicuro – ne sono certo. Perché ho imparato che niente accade per caso, che le coincidenze non esistono”.
“Per spiegarvi meglio – continua – vi racconto cosa mi è successo durante il mio soggiorno in un albergue donativo, ovvero un ostello che offre alloggio in cambio di una donazione, solitamente di stampo cristiano. “Se puoi lascia, se hai bisogno prendi”, è la filosofia di questi tipi di albergue. Al suo interno incontrai una signora in lacrime, disperata, che intimava a se stessa di dover alleggerire il proprio zaino. Non si riferiva allo zaino in spalla, ma al suo bagaglio personale, alla sua vita”.
“Ho pensato alla disperazione di quella donna tutta la notte – ricorda – e ho pensato che anch’io avrei dovuto alleggerire il mio zaino, quello vero. Distendo il contenuto sul letto e decido di donare all’albergue dei miei effetti personali, tra cui il libro di Coelho. Il mio zaino da 12 è passato a 9 Kg”.
“Il giorno dopo – prosegue il racconto – mentre attraversavo le Mesetas, il tratto più difficile in quanto altopiano semi desertico, da Burgos a Leon, alle prime luci dell’alba giungo all’entrata di un piccolo paese, dove vi è posto un masso, che subito coglie la mia attenzione. Su di esso è incisa una sigla, che era un versetto della Bibbia, capitolo 19, versetti 16-30, Il giovane ricco”.
“Un colpo al cuore: mio fratello si chiama Matteo – gli occhi brillano, la voce trema – Vengo colpito da un violento sentimento di nostalgia da casa e prendo il telefono per leggere quei versetti, dove Gesù spiega ai discepoli che “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”. E io la sera prima avevo alleggerito il mio bagaglio, donando”.
Le coincidenze non esistono. “E’ ovvio – prosegue dopo un’intensa pausa – che non è stato tutto facile. Sono stato colpito da una tendinite che mi ha fermato per due giorni e ho temuto di non farcela, specie in ospedale. Sono stato medicato dai miei angeli del cammino, e sono ripartito”.
“E finalmente – riprende – il 28 agosto, sotto la pioggia, arrivo a Santiago de Compostela. Non appena scorgo la cattedrale da lontano esplodo di gioia, avevo compiuto la missione più grande della mia vita. Metto piede nella piazza della cattedrale alle 8.30 del mattino, era ancora deserta, e sono scoppiato in un pianto liberatorio”.
“Mi sono fermato un giorno a Santiago – la mente torna a quelle ore – per visitare la cattedrale: il momento dell’abbraccio a San Giacomo (in spagnolo Santiago) è stato potentissimo, non ci sono parole per spiegarlo. In quel momento è scattato dentro di me qualcosa, c’è stato un cambiamento spirituale e ho raggiunto una consapevolezza che mai avevo provato prima nella mia vita”.
Ma Niccolò non si ferma e decide di arrivare fino all’Oceano: prima andando a Finisterre, per finire a Muxia, percorrendo il cosiddetto prolungamento Giacobeo, circa 120 km dopo Santiago.
“Il 5 agosto la mia cara amica, Elena Parri, mi scrive chiedendole di portarle un sasso a forma di cuore – rievoca con commozione – Le prometto che l’avrei cercato e gliel’avrei portato. E inizio a cercarlo come promesso, ma non riesco a trovarlo. Quando il 22 agosto Elena ci lascia, un dolore lancinante mi trafigge. Ricordo ancora che iniziai incessantemente a cercare quel sasso, senza mai trovarlo”.
“L’ultimo giorno del cammino – conclude il suo racconto – a Muxia, passeggiando sulla sabbia, lo vedo: enorme, liscio, perfettamente a forma di cuore. In quel momento lei era lì con me. E improvvisamente tutto è stato chiaro: le coincidenze non esistono”.